Fine estate 2020. Mia moglie ed io insieme alle nostre due bimbe, una delle quali di pochi mesi, ci trovavamo temporaneamente in Sicilia. Eravamo in piena epoca COVID-19, io lavoravo da remoto mentre lei era in maternità. Avevamo a disposizione una casetta soleggiata, vicina al mare e lontana dalla morsa dei contagi e così, dopo aver passato lì tutta l’estate, ci era parsa una buona idea quella di rinviare il rientro a Pavia e trascorrere in quel luogo anche i mesi invernali.
Inizio 2021. Il mio matrimonio era appena finito. Niente tradimenti né situazioni da pellicole cinematografiche. Solo incomprensioni, sempre più numerose, sempre più grandi, finché tutto è crollato. Come cambiano veloci le cose…
Ricordo che mi guardavo intorno e mi vedevo circondato soltanto da cumuli di macerie. Mi sentivo solo, non mi fidavo di nessuno. Ed ero fermamente convinto che Dio non esistesse.
Tuttavia, appena qualche giorno dopo, io e mia moglie ci ritrovammo in auto, baule carico, bimbe a bordo e biglietti in mano. Direzione: Pavia. Casa nostra. Per ricominciare.
Qualcosa però non quadrava, perché la verità è che nessuno di noi aveva mai neanche lontanamente pensato di riprovarci! Per noi era finita e basta.
Dunque, cosa è successo nei giorni che vanno da quello in cui avevamo decretato la fine del nostro rapporto a quello della partenza per Pavia? Su questo aspetto, nel tempo, mia moglie ed io ci siamo interrogati diverse volte ma una risposta – per lo meno una “umana” – non l’abbiamo mai trovata. Entrambi, ripensando a quei giorni, abbiamo come un vuoto, una specie di buco nero. Fu come se qualcosa (o qualcuno?), accortosi che avevamo preso una strada sbagliata, ci avesse afferrati per le nostre testoline e ci avesse riposizionati nella direzione corretta. Pacca sulla schiena «…e adesso per di qua e fate i bravi!»
Arrivati a Pavia, mia moglie, che era credente, mi disse che voleva riprendere a frequentare la Chiesa, cosa che durante la nostra permanenza in Sicilia non aveva potuto fare.
Io, in passato, non avevo mai posto veti su questo, né avevo mai ostacolato la sua volontà di andare in Chiesa. Semplicemente, non mi interessava. Lei andava in Chiesa e faceva le sue cose, io restavo a casa e facevo le mie.
Che poi, questa impostazione mi sembrava anche una cosa da coppia matura: in questo modo ciascuno aveva i propri spazi e le reciproche autonomie erano perfettamente rispettate.
In quell’occasione, però, sentii che questa cosa di fare “gli autonomi” non era funzionale e quindi doveva cambiare, perché creava separazione quando invece noi avevamo bisogno di condividere, di imparare a starci accanto, di stressare il concetto che se qualcosa era importante per uno, allora doveva esserlo anche per l’altra, e viceversa. Insomma, a pensarci bene, cosa c’era di maturo nel nostro essere coppia, se ognuno di noi viveva da single?
Così, dissi a mia moglie che se lei desiderava andare in Chiesa io l’avrei accompagnata. Naturalmente, mi trovai anche cosa fare durante il culto: c’era la nostra secondogenita, che era troppo piccola per la scuola domenicale – e quindi doveva stare in Chiesa con noi – e mi offrii di accudirla per permettere a mia moglie di seguire il culto senza distrazioni.
Andò così per alcuni mesi. Il mio interesse per ciò che accadeva durante il culto era tendente allo zero, mentre invece la piccolina mi teneva ben impegnato: entravo, uscivo, giocavo, cullavo… e quelle due ore passavano “lisce”.
Ma ci furono due cose, già in quel periodo, che mi colpirono: la prima è che il rapporto con mia moglie aveva ripreso a funzionare. E funzionava talmente bene che una volta, neanche troppo per scherzo, le chiesi: “Ma com’è che adesso stiamo meglio di quando stavamo bene?”
La seconda fu l’accoglienza della Chiesa. Non fu un’accoglienza normale. Le persone che mi vennero incontro non lo fecero per dirmi dove dovevo sedermi o per indicarmi dove fossero i servizi. Vennero incontro a me per offrirmi la loro amicizia, per aprirmi le porte della loro casa. A me, che ero l’ultimo arrivato ed un perfetto sconosciuto. Questa cosa mi colpì fin da subito ma solo col tempo ho capito cosa stesse realmente accadendo: quelle persone erano le mani, erano le braccia del Signore che mi invitavano ad entrare nella Sua casa; che mi dicevano: «Vieni, siediti, stai con me. Non devi fare né dire nulla. Semplicemente, stiamo un po’ insieme…»
Riguardo a ciò, oggi posso affermare con certezza che tutte le volte che ho messo piede in Chiesa e mi sono seduto in una di quelle panche, al mio fianco c’era Lui. Cosa faceva? Mi aspettava, mi diceva «Prenditi il tuo tempo, io sono qui e ti aspetto.»
Dopo l’estate del 2021, la nostra piccola iniziò a frequentare la scuola domenicale ed io, esaurito il mio compito di baby-sitter, mi trovai ad un bivio: continuare ad accompagnare mia moglie in Chiesa o tornare a fare “le mie cose”? Optai per la prima, nonostante l’allettante prospettiva di avere tutte le domeniche mattina libere. Ancora una volta, infatti, sentii che dovevo stare accanto a mia moglie, e ciò pur rimanendo fermo nella mia posizione di totale disinteresse verso ciò che riguardava Dio. Per me, Lui continuava a non esistere.
Qualche domenica dopo, durante un culto, il Pastore invitò la Chiesa ad alzarsi in piedi e a chiudere gli occhi. Io non volevo, mi sentivo stupido: alzarsi va bene ma perché devo chiudere gli occhi? Diedi uno sguardo fugace intorno a me e vidi che tutti avevano gli occhi chiusi. Allora, un po’ controvoglia, li chiusi anche io.
Chiusi gli occhi e iniziai a piangere.
Si, a piangere. E senza alcun motivo. Io non piangevo da anni e adesso che piangevo, non sapevo nemmeno perché! Piangevo e basta. Ed era un pianto irrefrenabile, impossibile da contenere. E mentre ero lì che cercavo di non farmi vedere da mia moglie perché temevo che pensasse che fossi impazzito, sentii una voce, calda, pacata ma perentoria, che mi disse: «Ma tu ancora non hai capito perché il tuo matrimonio ha ripreso a funzionare? Io ti ho messo accanto questa donna undici anni fa affinché tu fossi qui oggi, in questo preciso istante!»
Di quell’avvenimento non dissi nulla a mia moglie ma, inevitabilmente, mi aveva scosso. Non è che diventai improvvisamente credente, però il dubbio si era insinuato in modo pungente in quella che era sempre stata, fino ad allora, la mia certezza: Dio non esiste.
Nei giorni seguenti, continuavo a chiedermi se quella voce fosse reale o me l’ero immaginata, ma più ci pensavo e più non riuscivo a darmi una risposta. Anzi, le domande aumentavano, perché quell’episodio aveva anche innescato una possibile “lettura alternativa” di altre cose che erano successe nella mia vita nei mesi precedenti.
Ma non è che è stato Dio che ha letteralmente “annullato” il nostro divorzio?
Non è che è stato Dio a suggerirmi di andare in Chiesa con mia moglie?
Dopo alcune settimane, questa impasse divenne insostenibile. Ero veramente stanco di arrovellarmi, dovevo capire. E per capire, dovevo conoscere. Allora iniziai a frequentare il culto con attenzione, a fare domande a mia moglie, a leggere la Bibbia. Ogni domenica ascoltavo le testimonianze dei fedeli con curiosità, alla costante ricerca di una risposta al mio interrogativo: ci sei o non ci sei?
Finché la risposta arrivò, perché Dio risponde sempre e perché «chi cerca trova». Una sera, nel mio studio, durante una preghiera sghemba, fatta senza troppa convinzione, buttata lì quasi per sfida, la risposta arrivò: «Io ci sono, e tu ci sei?»
Lui c’era! Lui c’era e c’era sempre stato. C’era quando lo ignoravo, quando lo rinnegavo, quando facevo “l’autonomo”. Lui c’era mentre lasciavo Milano e quando conoscevo mia moglie, c’era mentre mi sposavo, c’era quando mettevo al mondo le mie figlie e nel momento in cui distruggevo tutto quanto.
Lui c’è sempre stato. E in ogni momento ha guidato la mia vita perché non mi perdessi definitivamente.
Appurato questo, però, l’interrogativo diventava un altro: io dov’ero? Dove ero stato? E soprattutto, dove volevo stare?
Oggi. La risposta è una sola. A questa e a tutte le domande che mi avevano fin lì tormentato. Una risposta soltanto: io voglio stare dalla parte della Verità. E Dio è la Verità. Gesù è la Verità.
Da quando ho realizzato questo, tutto è cambiato. Il riposo, l’armonia, la pace, certamente sapevo cos’erano. Ma quelli che vengono da Dio sono un’altra cosa, sono di un altro livello.
Lo sono però anche le battaglie che da allora ho dovuto e devo affrontare. Il mio primo avversario? Me stesso. Perché non è stato facile. Non è mai facile scegliere di essere un figlio di Dio. Anzi, credo sia la cosa più difficile che abbia mai fatto nella mia vita. Per riconoscere di non essere “autonomo”, per ammettere che quel pezzettino di terra per cui mi sono affannato e che ho faticosamente accumulato sotto i miei piedi non mi appartiene, ho dovuto lavorare sul mio ego; ho dovuto rivedere – direi parecchio al ribasso – il perimetro dei miei confini e cedere, o meglio, restituire a Dio il dominio di ciò che pensavo fosse mio.
Ma questo arrendersi in principio così complicato, si è rivelato una vera fonte di gioia. Perché non sono mai stato solo, perché il Signore mi ha accompagnato passo dopo passo in questo percorso e lo ha fatto senza mai accusarmi, senza mai farmi sentire irrimediabilmente sbagliato. Anzi, tante volte ho potuto sperimentare la bontà dei Suoi consigli, la pacata fermezza delle Sue correzioni e la potenza e la precisione dei suoi interventi. Nel Signore ho trovato un Padre e un amico, ho trovato fedeltà, amore e incoraggiamento costante.
E poi è stato Lui che ha cercato me, non il contrario. Come posso ignorare questo aspetto? Mi ha cercato per l’amore che nutre per me, perché vuole davvero che tutti i suoi figli siano salvati. Mi ha cercato perché Lui crede in me molto più di quanto io abbia creduto in Lui. E per tutto questo oggi scelgo di affidare tutta la mia vita a Lui. Per tutto questo, oggi ricerco una cosa soltanto: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.
Vincenzo